Non solo una storia di criminali disposti a tutto, ma una storia che riserva una sorpresa, perché i criminali della banda della Uno bianca sono degli agenti di polizia. Poliziotti criminali, sicuri, freddi, meticolosi nella preparazione dei colpi, esperti nelle armi e abili nella fuga. Tra il 1987 e il 1994, in Italia, ma in particolare in Emilia Romagna, hanno commesso 103 crimini, soprattutto rapine a mano armata, provocando la morte di 24 persone e il ferimento di altre 102.

I killer della Uno bianca.

Roberto Savi, insieme al fratello Alberto, apparteneva alla Polizia di Stato presso la Questura di Bologna, dove al momento dell’arresto rivestiva il grado di assistente capo ed effettuava il servizio di operatore radio nella Centrale Operativa.

Fabio Savi, fratello di Roberto e co-fondatore della banda, nel 1987. Aspirante poliziotto, fece domanda per entrare in polizia, ma un difetto alla vista gli pregiudicò questa carriera.

Alberto Savi. Fratello minore di Roberto e Fabio. Assieme ai fratelli, formava la struttura principale della banda. Al momento dell’arresto prestava servizio presso il Commissariato di Rimini.

Pietro Gugliotta. Anche lui poliziotto, svolgeva la funzione di operatore radio nella Questura di Bologna, insieme all’amico Roberto Savi.

Marino Occhipinti. Prese parte a un assalto a un furgone alla Coop di Casalecchio di Reno, il 19 febbraio 1988, durante il quale morì una guardia giurata, per questo venne condannato all’ergastolo. Anche lui poliziotto presso la Squadra Mobile di Bologna, al momento dell’arresto, era vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra Mobile.

Luca Vallicelli. All’arresto era agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena. Membro minore della banda, partecipò solamente alle prime rapine, che si conclusero senza omicidi.

La banda compie le proprie rapine senza lasciare una traccia, un testimone in grado di riconosce i criminali che la compongono. Poi il 21 novembre 1994 viene arrestato Roberto Savi, soprannominato dagli inquirenti il “Corto”, considerato il capobanda e spalleggiato dal fratello Fabio Savi – il “Lungo” – che convive con Eva Mikula, una ragazza rumena di 19 anni.

La prima fase. Una banda con una grande coesione interna: un vincolo di sangue per i tre fratelli Savi e di amicizia per gli altri componenti, tutti gregari di Roberto Savi.

E’ il 3 ottobre del 1987 quando la banda della Uno bianca commette il primo omicidio. Per soldi. Un tentativo di estorsione nei confronti di un autorivenditore riminese, Savino Grossi. Nel conflitto a fuoco rimase gravemente ferito il sovrintendente Antonio Mosca, morto due anni dopo, dopo un lungo periodo di sofferenza.

Quattro mesi prima, nell’estate del 1987, tutto inizia con una rapina a un casello autostradale di Pesaro. In quattro mesi, 13 colpi, un bottino da 90 milioni di lire e il primo errore giudiziario che attribuì le rapine a quattro giovani che – si scoprirà poi – non avevano responsabilità.

La seconda fase. Le rapine ai caselli autostradali non bastano più, nel mirino i portavalori della catena dei supermercati Coop con armi sempre più potenti. L’attività della banda diventa sempre più intensa ed entra nella banda Marino Occhipinti.

Aumenta il bottino e i morti lasciati sulle strade. Sono cinque, tra il 1988 e il 1989: due guardie giurate, due carabinieri e un testimone.

La terza fase. I fratelli Savi ricominciano nel 1990 quando vennero uccise otto persone. Escono dalla banda Luca Vallicelli e Marino Occhipinti ed entra Pietro Gugliotta. Una fase di bottini irrisori e feroci raid razzisti.

Nel 1990 vennero uccisi due pensionati, testimoni di due rapine, mentre il 23 dicembre 1990 la banda ape il fuoco contro le roulotte che componevano il campo nomadi di Bologna in via Gobetti, provocando due vittime. Vennero poi uccisi due lavavetri magrebini, infine vennero uccise due persone a Bologna in due diversi episodi di violenza: Luigi Pasqui ucciso durante una rapina a un distributore di Castelmaggiore e il testimone Paride Pedini a Trebbo di Reno.

Una scia di sangue senza logica porta all’episodio più terribile della banda della Uno bianca: la strage del Pilastro. Il 4 gennaio 1991, intorno alle 22, nel quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dell’Arma dei carabinieri fu trucidata dalle pallottole del gruppo criminale. Morirono tre carabinieri.

E mentre la banda continua a colpire, gli inquirenti iniziano a focalizzare la loro attenzione sulle armi, in particolare sull’uso di armi non facilmente reperibili, come ad esempio i fucili Beretta AR 70/90 di Roberto Savi.

La quarta fase. La banda dopo la rapina in un’armeria di Bologna, dove vennero uccise due persone, cambia le armi. Ora utilizza le due Beretta rubate nell’armeria, cambiando i suoi obiettivi: le rapine in banca.

Tra il 1991 e il 1994 i Savi mettono a segno 36 colpi e uccidono 5 persone. Da Bologna a Rimini, da Riccione a Cesena fino a Ravenna e Gabicce Mare per un bottino di 1 miliardo e 250 milioni di lire. La banda sembra inafferrabile.

L’arresto. Tra il 23 e il 25 novembre1994  tutti i componenti della banda vengono arrestati al termine di un’indagine complessa che vede coinvolte tre procure: Rimini, Bologna e Pesaro. Fabio Savi tenta la fuga assieme alla sua amante, la giovane rumena Eva Mikula. Ma viene bloccato a pochi chilometri dal confine con l’Austria.

I processi. Si conclusero il 6 marzo 1996, con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi e per Marino Occhipinti. Ventotto anni di carcere per Pietro Gugliotta, diminuiti poi a diciotto. Luca Vallicelli, componente minore della banda, patteggiò una pena di tre anni e otto mesi. Prezioso il ruolo di Eva Mikula che diventa il testimone principale dell’accusa.